
I giorni sono gocce di minuti che bagnano la nostra vita, che assorbe tutto come una spugna e non lascia spazio a nient’altro.
Ci si lascia assorbire dal dovere e dalle scadenze, si inizia a vivere per concludere un’altra giornata e non per viverla, ci addormentiamo tesi e ci svegliamo stanchi.
Mettiamo da parte il sorriso, una battuta, perché non abbiamo c’è tempo per essere felici ma solo per andare avanti, perché la felicità richiede tempo e il tempo non lo si può sprecare per essere felici, perché c’è sempre altro da fare di più importante, di più urgente.
Non c’è tempo per la leggerezza, per le imperfezioni, per i difetti.
Non c’è tempo per gli errori.
C’è tempo solo per la serietà e per il senso del dovere, come se la casa fosse una caserma e tutti siamo soldati che eseguono tutto meccanicamente.
Somigliamo a dei robot ben costruiti, con un sorriso falso e un “sto bene” da servire caldo, ben cotto a chiunque, perché non ti puoi concedere la debolezza di dire la verità, con nessuno.
Tutti si dichiarano disponibili e pronti a offrirti una spalla, ma con misura. E quindi preferisci non accettarla quella spalla, perché non si ha misura quando hai l’anima a pezzi. Preferisci rimanere solo o pagare un terapista.
Così accadde che Agata, il 20 marzo, la giornata mondiale della felicità, fissa il pavimento e si pone una domanda che da tempo attende di uscire fuori: “Sono felice?”. Si rende conto che non riesce a rispondere. Le sembra affrettato dire “No, non lo sono”. Il “Sì, lo sono” non l’ha neppure preso in considerazione.
Da alcuni giorni avverte il senso di vuoto, non riesce a stare ferma, non riesce a riposarsi: deve sempre fare qualcosa. Non riesce a stare ferma sul divano, non riposa quasi mai per puro piacere, ma solo quando crolla, di notte.
Al mattino si sveglia con gli occhi piene di secrezioni lacrimali, come se durante la notte avesse pianto.
Fa sempre strani sogni, di quelli di cui ricorsi la sensazione ma non il contesto, di quelli che ti fanno venire una grande sete e un gran bisogno di aria fresca.
C’è qualcosa che non ricorda, qualcosa che la tormenta e la porta sempre al punto di partenza, nel posto esatto in cui tutti inizia, senza saper continuare la strada. Si perde nel suo passato e ritorno nel presente confortevole e statico, come tutte le cose che hanno sempre lo stesso profumo, lo stesso colore, lo stesso calore.
Smette di fissare il pavimento, si alza a e posa la tazza di caffè in lavastoviglie. Ha dimenticato si sciacquarla, segno che continua a pensare cosa non le torna, qualcosa che non ricorda dei suoi ieri
Non ricorda neppure di essere stata bambina. Ricorda solo che, improvvisamente, si è ritrovata grande e con una casa e un lavoro, e reduce da una storia da poco finita. Perché le storie hanno un inizio e una fine, come le stagioni, solo che l’amore ha delle stagioni lunghissime, e cambiano a seconda degli eventi. Rare sono le coppie con una sola stagione. E per lei e Simone, dopo essere giurati amore eterno, come nei film, si sono giurati odio eterno e hanno divorziato.
Perché? L’amore è finito, e nessuno dei due l’aveva notato, oppure era diventato così abituale il loro rapporto che le ruotine aveva coperto tutto.
Si sente triste? No, si sente svuotata, come un alcolizzato che succhia fino all’ultimo goccio da una bottiglia di vino.
Lei si sente quella bottiglia di vino: sporca e usata.
Con Simone tutto è rimasto normale, ognuno ha avuto la sua parte, lui è andato a vivere per un po’ da un suo collega, lei è andata a vivere per po’ da sua zia Sonia, hippy e colorata come un giardino in pieno maggio.
La casa era rimasta lì, in attesa che qualcuno occupi le stanze in cui un tempo loro due si sono amati.
Agata aveva capito da piccole cose che la loro storia era giunta a un punto, perché le virgole si erano scocciate di collegare qualcosa senza senso.
Andavano a cena fuori e non parlavano. Lui col cellulare in mano, lei restava a fissare quante altre coppie si comportavano come loro.
Vedeva le coppie felici che ridevamo. Quelle che litigavano. Quelle che si fotografavano in continuazione.
Vedeva quelle come loro e non le piaceva la scena.
Qualunque discorso lei cercava di intavolare, lui restava lì, la guardava e poi ritornava di nuovo sullo schermo del cellulare.
Il sesso funzionava, l’attrazione fisica era sempre quella di un tempo. La loro unione era fragile, come le foglie d’autunno nelle pozzanghere.
Così, oggi il 20 marzo, prende un foglio
In quelle righe, non aveva trovato una traccia di falsità: Agata le aveva buttato tutto in faccia.
Se ne era andata via. E lui non aveva fatto nulla per impedirlo. Era davvero finita.
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