
Non riesco a vivere più, non riesco a sentire nulla, a parte il dolore e l’assenza di te.
Il medico vuole che io mi apra con un disegno, ma come posso disegnare la mancanza? Un detto giapponese dice che la mancanza non si può disegnare e non si può scrivere, ma si resta tutto bianco. Ed è giusto: la mancanza è il niente che rimane dopo un lutto. Si può rappresentare un lutto? Non credo. Quindi so già cosa portare al medico. E, soprattutto, non gli farò leggere subito questa sorta di diario che mi ha consigliato. Voglio tenerlo per me. Già condivido troppo con lui.
Ci sono giornate che dovrebbero terminare prima possibile.
Ci sono giorni di cui non sopporto nemmeno l’eco della mia stessa voce.
In verità, io non mi sopporto mai. Come le cose che non mi appartengono e che mi appartengono. Ciò che è mio e ciò non lo è. Le frasi lasciate a metà, punti interrogativi dispersi e lasciati senza risposta.
Eravamo tanti intorno a lui, eppure non è servito a nulla. Il male è più forte del bene, non c’è nulla da fare. Il bene è solo sentimentalismo che abbiamo dentro di noi come qualcosa d’innato.
Il bene per fare ingresso ci mette tanto, il male non bussa nemmeno. E mette radici come una pianta selvatica: resiste. Le piantine da giardino sono quelle più delicate e hanno vita breve. Ecco cos’è il male. Il male è non poter più chiamare quel nome perché sai che non ti risponderà. Questo è il male.
Come i ricordi.
Tipo Lettere a Milena, di Kafka. Lo lessi tanto tempo fa al liceo e mi piacque tanto. E poi scoprì anche Grossman, Che tu sia per me il coltello, quasi simile come stile, e da cui ha tratto anche il titolo. Ho sempre amato libri del genere. Corrispondenze amorose e intrecci di parole senza mai contatti fisici. Guido diceva che ero strana perché ero innamorata di uno che insegnava matematica e poi sbavavo per scrittori da trame così sognanti e poco conclusive. Lui li definiva “gli incompresi” che fanno soldi sulle frustrazioni di chi non riesce a dire ad una ragazza: andiamo a bere qualcosa insieme?
Lui era schietto e diretto, e forse sono queste le cose che ho amato di lui, anche se non c’era nulla che mi portasse da lui. Avevo una mia ideologia di persona, ma lui ha stravolto tutte le mie idee.
Lo ricordo ancora quel giorno.
Era pieno autunno, e io ero all’ultimo anno di università: l’auto si fermò in un giorno di pioggia pazzesca. Ero tutta zuppa, e come al solito, avevo il cellulare scarico. E, per una volta, il mio essere smemorata mi portò alla felicità assoluta. Si avvicinò e in pochi secondi lui mi disse che occorreva un meccanico, e collegò la mia mini-auto alla sua, e si offrì di accompagnarmi da un suo cugino che era nei paraggi. Accettai e salì in auto con lui. Ascoltava Ligabue, ricordo ancora la canzone che c’era: Ti sento.
Siamo stati tutto, senza riserve. Momenti di crisi per nostre differenze di cinema, tipi di uscite, e soprattutto caratteriale. Lui pratico, dinamico e svelto in tutto. Preciso in ogni cosa, e veloce dal pensiero all’azione. Io, invece, riflessiva, pensierosa e smemorata. Nonostante entrambi ci lamentavamo per queste enormi differenze, ci amavamo tantissimo.
Sorrido perché sono stata felice e anche infelice con lui. Ho di provato tutto con lui, e sono stata ovunque come se fosse la prima volta. Ogni posto era diverso, perché c’era anche lui con me.
Ricordo delle bellissime parole che mi disse, in un giorno qualunque.
“Sei così bella! Dentro sei come una miniera di un tesoro che non avrà mai valore, perché i calcoli sono infinti. E fuori sei come una natura fiorita illuminata dal sole, bellezza inesauribile”.
“Sei tu che rendi così. Una persona è veramente bella solo quando è innamorata di qualcuno che è amore puro. E soprattutto se quel qualcuno ha un sorriso come il tuo”.
Non aveva mai letto un libro di letteratura per puro piacere, ma solo per obbligo scolastico. Leggeva solo saggi di fisica e alcuni di filosofia, ma restava sempre legato alle sue idee scientifiche. Credeva nell’evoluzione della specie, e nella teoria del big bang, ed era appassionato di cosmologia. Era ateo convinto. Spero solo che tutto quello in cui credeva non sia del tutto vero, e che lui possa sentirmi ovunque sia.
E poi continuò…
“Lo sai che tu sei fatta di polvere di stella?”
“Sei scemo”.
“Sei scema tu! Nell’acqua che beviamo ci sono tante particelle e molecole di stelle, altri corpi celesti che tu non immagini. Se solo tu studiassi l’universo, diventerebbe il tuo libro preferito. Non c’è nulla di più bello in cui credere. Non c’è fede più vera. Non c’è Bibbia più documentata dell’Universo”.
Non era poetico, era molto di più di semplice poesia. Lui non si soffermava sulla bellezza delle cose, ma sul perché erano così perfette e belle. Lui non analizzava e finiva lì. Lui sperimentava e doveva rendere reale ciò che aveva scoperto o studiato. Avrebbe fatto molto strada, se solo la malattia non avesse interrotto tutto.
Non ho toccato più un libro da quel giorno. Sono una macchina che lavora e manda avanti una casa vuota e inutile.
Perché non leggo un libro da quel giorno? Perché non ho motivo di sognare, perché vorrei solo che tutto fosse irreale. Perché non voglio stare bene, e comunque non ci starei, ma non voglio nemmeno provare. Non voglio nulla, e i libri sono la cosa più bella dopo di lui per me. È andato via lui, via anche tutto il resto. È morto tutto con lui.
“Chissà se i tuoi libri sono più importanti di me!”
“Chissà se i tuoi saggi di fisica sono più interessanti, una scoperta è più eccitante di me.
“Letterata saccente”.
“Matematico presuntuoso”.
“Però ti amo”.
“Ti amo anche io”.
Mi mancano i nostri dialoghi.
Penso che starei ore a scrivere sempre la stessa cosa: Mi manchi ed è tutto un lungo inverno senza te.
© –lemienottibianche
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Ph: Fonte da Pinterest
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