L’amore ha il colore dei tuoi occhi

Stamattina mi sento molto nervosa, come se fossi uscita senza ombrello in un giorno di pioggia. Mi sento bagnata dentro, per la mia vita e l’ennesima storia da chiudere. Non sono brava nelle relazioni, ma ho voglia di innamorarmi di qualcuno che mi faccia venir voglia di dividere una fetta di torta con lui. Qualcuno con cui non avere timore di ridere troppo e preoccuparmi se la mia risata è troppo rumorosa, se il mio modo di masticare è fastidioso, se non sono riuscita a lavare i capelli per un appuntamento e li trova ugualmente belli. Vorrei qualcuno d’amare e che ami, senza pensare a quello che potrei offrirgli ma a quello che lui potrebbe far uscire dal mio cuore. Voglio la spontaneità di un gesto, di un sorriso nel mezzo di una conversazione, di un bacio mentre si discute.  Lo so che chiedo troppo.

«Cosa stai fissando?», mi interrompe Lisa con una tazza di caffè fumate per lei e una per me. Ci offriamo il caffè a vicenda, sia a inizio turno che fine turno. Quando mi sono laureata in infermeria, non pensavo che avrei odiato il lavoro, perché non aveva idea di quanto sia brutto vedere qualcuno in fin di vita. Volevo un lavoro che mi impegnasse nell’aiutare il prossimo, che mi permettesse sia di mantenermi da sola e sia si sentirmi utile come persona. Col tempo ho capito di quanto io sia debole su ciò che davvero è un’emergenza, ma devo tenermi tutto dentro e fare il mio dovere. Una mia mancanza può comportare gravi conseguenze. Sono una ferrista e se sbaglio il bisturi o altro, è tempo prezioso sprecato.

«Mi sento stanca e nervosa oggi. Più del solito?».

«Perché ti manca qualcosa. Si è stanchi quando si pensa a ciò che manca» mi dice e non posso darle torto. Mi manca l’amore, quello amore che hai un solo colore di occhi e un solo sguardo nel mondo. Mi manca l’autenticità di un sentimento.

«Lo so… mi sento vuota. Non mi manca nulla, ho una vita piena e ho una casa come l’ho sempre sognata da ragazzina, quando fantasticavo il momento di vivere da sola , ma non nessuno con cui dividere il servizio di piatti giapponese e le tazze che mi ha regalato mia madre per bere il caffè. Mi manca quel qualcuno, ma in nessuno lo riconosco», le confido, mentre beve il decente caffè del bar. Per essere all’interno di un ospedale è accettabile.

«Hai mai pensato che sei a non essere accessibile?».

«Forse».

«Spesso ci coccoliamo nel fallimento prima ancora di iniziare. Magari conosci qualcuno, e trovi una scusa per non affrontare e non avere delusioni. Te ne vai prima che gli altri vadano via» mi evidenzia con tanto di tono deciso e sicuro di quello che ha appena detto. Anche in questo caso non posso darle torto, perché il malato conosce la cura ma si rifiuta per paura degli effetti collaterali.

«Magari incontrerò qualcuno che mi interessi per davvero. Ho messo fine alle relazioni solo per non sentirmi sola»,

«Arriverà, Ludo, devi solo guardare bene i segni», mi sorride e strizza l’occhio. Lei ha finito il suo turno, e io inizio il mio. Mi saluta e va via.  Resto al cinque minuti e rifletto sulle parole di Lisa e della sua saggezza. Lei è fidanzata da un anno, con un ragazzo molto simpatico che possiede un’enoteca molto caratteristica. Sono felici insieme si amano. Butto il bicchierino e inizio a lavorare. La giornata è ufficialmente iniziata e tutti gli annessi che si porta dietro e che i miei occhi dovranno accogliere.

A fine turno, mi tolgo la divisa e rivesto: non vedo l’ora di buttarmi sotto la doccia e togliermi questo cattivo odore di ospedale. Anche se lavo le mani e braccia, mi sembra che si appiccichi addosso. Indosso la camicetta rossa e il cardigan grigio. Sistemo la tasca del cardigan e trovo un foglio. Lo apro.

Credi che nessuno ti pensi e che rivolga un pensiero ai tuoi capelli.

Ma ti sbagli… c’è qualcuno che ogni giorno ti parla con gli occhi, ma tu sei troppo distratta per accorgerti di me.

Conosco i tuoi giorno no e i tuoi giorni sì.

Stamattina era un giorno no, vero?

L’ho capito da come hai premuto il pulsante dell’ascensore.

Con aria annoiata di chi non si aspetta più niente di speciale.

Ti sbagli… c’è qualcuno che vorrebbe essere la tua persona speciale.

Leggo e la mia incredulità nel leggere quelle parole, da una persona che potrebbe essere chiunque nell’ambito lavorativo mi fa scoppiare a ridere, di una risata così forte che si sento esplodere la testa. Certe cose accadono solo nei film e io non riesco a realizzare che è accaduto per davvero. Forse ho sonno e ho scambiato un appunto per una lettera romantica. No, invece no: è una lettera e qualcuno vuole attirare la mia attenzione. Vuole attirarla con una forma di seduzione fuori dal comune, quindi è qualcuno che conosce bene la mia pesantezza nel farmi piacere qualcuno. Chi poteva essere, se solo con Lisa mi confido di tanto in tanto?  

Durante il tragitto per tornare a casa ho chiamato Lisa ed è rimasta senza parole. Ovviamente è felice di questa novità e pensa che mi farà bene, che è il modo giusto per corteggiare una difficile come me.  Mi sento strana e mi incuriosisce tutta questa storia, che mi ritrovo a fissare in un modo indiscreto tutti i miei colleghi e non che incrocio nella salsa d’attesa. Sto dando spettacolo di me e sento un lieve rossore di imbarazzo colorare tutto il mio volto. Non è il massimo per una che non vuole farsi notare. La cosa strano è che non mi sento sola: è come se qualcuno mi tenesse la mano. È una sensazione che non ho provato mai, neppure quando avevo qualcuno accanto. La solitudine mi ha sempre fatto compagnia più di chiunque altro, venendo con me in ogni passo della mia vita.  Da ragazzina ho sempre vestito di essa e non ho mai cambiato il mio stile. Anche in compagnia è sempre stata con me. Ma… queste parole mi tengono compagnia più di chiunque altra presenza. È normale? Mi preparo una tisana e prendo due biscottini alle mandorle. È tardo pomeriggio… Forse andrò al cinema da sola, oggi è la serata di grandi pellicole dei tempi passati.  Sì, un film è la nota perfetta per concludere una questa giornata e distrarmi dal misterioso corteggiatore.

Oggi ho il turno di notte e per tutta la mattinata ho fantasticato su chi potesse essere.

Ho pensato ad Aldo, l’infermiere che spesso mi sorride e mi apre la porta, se gli capita.

Ma è sposato e dalle lettere sembra una persona libera. Quindi non mi convince.

C’è Antonio, servizio pulizie che mi saluta sempre con gentilezza e spesso ci beviamo un caffè.

Ma è sposato anche lui e non mi dai l’idea di uno che lascia fogliettini.

E anche tutti gli altri non mi ispirano. Nessuno sembra il tipo da richiamare l’attenzione tramite una sorta di lettera.  A pranzo viene mia sorella Imma, con i suoi mille impegni sempre in tasca e cause da difendere.

«Quanto hai spremuto quei poveri ex mariti?», le chiedo ridendo e le passo un calice di vino. Ho cucinato un buon risotto ai gamberetti e zucchine. È il nostro piatto preferito dei pranzi insieme. Ed è uno di quelli che mi riesce meglio.

«Sempre troppo poco: chi sbaglia deve pagare il doppio».

«Possiamo sbagliare tutti, pagando quello quello che ci tocca».

«Se non fossi così brava a spellare gli ex delle mie clienti, non sarei la divorzista più richiesta, nonostante la mia giovane età nel campo» mi puntualizza e finisce l’ultimo sorso di vino. Bevo il mio calice e le mostro, senza troppe parole e spiegazioni il foglietto che ho trovato nel taschino del cardigan. Lei mi guarda, con uno sguardo di chi vuole fare una battuta ma si vuole trattenere. Imma è troppo concreta e poco romantica per emozionarsi con quattro parole.  Non è Lisa che ci ha fantasticato una storia d’amore, un misterioso uomo che impazzisce per me e sono la sua musa, la sua donna dei sogni. Che mi aiuterà a individuare ogni possibile traccia e unirà i punti. Imma pensa che qualcuno voglia prendermi in giro ma non ha il coraggio di dirmelo.

 «Forse è un gioco di seduzione un po’ cinematografico. Scoprirlo è semplice» esordisce con tono sicuro. Sembra quasi seria dal tono, ma i suoi occhi dicono che vorrebbe scoppiare a ridere.

«Non ti è mai piaciuto giocare a Miss Marple».

«Senti, è divertente e non ti nascondo che mi fa ridere… ma da un lato ho capito il perché di questa lettera».

«Ovvero?» chiedo curiosa e incredula.

«Questa persona ti osserva da molto e ha notato la tua poca affluenza nel campo sentimentale. Qualcuno con cui non hai confidenza. Non amo i gialli, ma mi insospettiscono sempre quelli che non ipotizzerei a prima impressione » mi spiega e il suo discorso non fa una piega. Non è sicuro, ma non è neppure da scartare perché nella lettera non sentivo familiarità, ma desiderio di conoscenza, di approccio. Non puoi sapere chi ti scrive un bigliettino anonimo, ma puoi percepire se lo conosci bene.

«Non è male come ipotesi e devo ammettere che ci ho pensato, ma non l’ho ammesso neppure a me stessa

«Devi attendere un prossimo bigliettino… non credo che voglia continuare a lungo con questo scambio di letterine. Il suo intento era quello di colpirti e quanto vedo ha fatto goal».

«Si vedrà» dico speranzosa che sia davvero qualcosa di bello e qualcuno di interessante. Ci mettiamo a tavolo e iniziamo a pranzare.

È quasi sera e ho il turno di notte. Entro in ospedale e vado di corsa al bar. Ordino un caffè ristretto e il barista dopo pochi minuti lo poggi a sul bancone. Beve il caffè e vado a spogliarmi per indossare la mia uniforme. Apro l’armadietto e trovo delle margherite, con un bigliettino. Sorrido. È così dolce come cosa, e so che ho quindici anni e non dovrei emozionarmi per dei fiori e parole dolce, ma cosa posso farci? Mi sento il cuore in gola e gli occhi lucidi perché qualcuno ha un pensiero per me, ha preso delle margherite per me e le ha sistemante nel mio armadietto. Un momento: come ha aperto? Io lo chiudo tutte le volte che mi spoglio.

Prendo il biglietto:

Credo che la margherita sia il fiore che rappresenti te.

Dolce e gentile.

Bianca e profumata.

Limpida e delicata.

Ti starai chiedendo come ho aperto il tuo armadietto, vero?

È il primo indizio, Ludovica.

Accarezza i petali delle margherite, ci ho posato i miei baci che ancora non ti ho dato.

Ha una vena poetica che incanta. Ho immaginato i suoi baci senza neppure conoscere il suo volto. E non solo immaginati: li stento scorrere. Si possono sentire sulla pelle i baci di non conosciamo? Io non so nulla di lui, e lui sa di me.  Il suo indizio mi porta a una sola conclusa ed è quella che è sempre avuto: è qualcuno che lavora all’interno dell’ospedale.  Non è un grande indizio. Anche la carta, è un foglio di quelli che si possono prendere senza problemi alla reception.

Svolgo il mio lavoro e mi ritrovo a fissare pure il primario, che mi ha rivolto uno sguardo di chi non vuole essere osservato con insistenza. Esco dalla sala operatoria e vado a sbattere contro qualcuno.

 «Ludovica».

«Saverio» farfuglio, con imbarazzo. Andare a sbattere contro la guardia della sicurezza non è esattamente un evento piacevole. Per fortuna ha un fisico robusto e atletico, e ha impedito la mia caduta.

«Sei stanca? Non mi hai visto… eppure sono abbastanza visibile», mi sorride e lascia la presa. Ha uno sguardo gentile, che contrasta il suo aspetto da uomo forte. Sento ancora le sue mani sulle mie braccia. Come si stringesse ancora. Potrebbe farmi roteare e spostare come nulla fosse: sono ma metà di lui.

«In realtà stavo pensando alla lista della spesa, e quindi mi sono distratta», butto la prima scusa che mi viene e mi rendo conto di quanto sia pessima.

«Non sembri una che svaligia frigo e mobili: mi dai l’idea di una che compra tutto a monodose», mi sorride e per un attimo vorrei che fosse lui. Non l’ho mai guardato così da vicino, sono sempre di corsa e mi fermo a parlare solo con i colleghi. Lui non viene mai in questi reparti, salvo in caso di parenti che danno fastidio al personale. Spesso si rincorre anche alle mani. È una realtà che solo un fisico come Saverio può mettere a tacere, almeno per un momento.

«Però nulla di già pronto. Te lo posso assicurare».

«Non mi fido delle persone che riscaldano il cibo invece che compralo: sono superficiali. Io vivo da solo e anche se torno stanco, non ci vuole nulla a preparare un piatto di pasta semplice o un secondo al volo».

«Sono d’accordo».

C’è un attimo di silenzio, quegli attimi in cui nessuno dei due sa se continuare il discorso o salutare e andare via. Sono gli attimi di esitazione, quelli in cui ti senti come un bambino il primo giorno d’asilo.

«Scusami, ma il dovere chiama. Ci vediamo».

«Certo… ci vediamo in giro», mi azzardo a dire e lui mi regala un nuovo sorriso. Mi piace il modo in cui sorride e le fossette che si formano. Mi piace anche la sua voce, mi dà l’idea di una birra ghiacciata e perfetta. Che ti scorre in gola e ti gusti fino all’ultimo sorso. Adesso non devo commettere il classico errore, non devo sperare che sia lui solo perché è stato gentile, che la magia di questi bigliettini mi faccia vedere tutto rosa. Mi tengo per questo episodio. Non voglio raccontarlo a Lisa e a mia sorella. Ognuna con le sue teorie e mi riempiono la testa di ipotesi così vaghe, che potrei trovare romantico anche il cesto della spazzatura. 

È mattina e finalmente il mio turno è terminato. Saverio non l’ho visto e forse è stato meglio così. In realtà credo che io abbia un po’ romanzato sulla sua voce e sul suo modo di fare: è stato solo cortese.  Entro nello spogliato e trovo sull’armadietto un caffè, un cappuccino, un succo di albicocca.  E un terzo bigliettino.

Un caffè per darti la carica.

Un cappuccino per darti la spinta.

Un succo per il buongiorno.

Non trovi strano che non ci accorgiamo che il nostro ideale è in qualcuno che non avresti mai pensato?

Ci fermiamo sempre sull’apparenza iniziale.

Su concetto di bellezza fisica.

Sullo scorrere delle conversazioni.

Ma non ascoltiamo mai le nostre sensazioni.

Le riteniamo bugiarde e cieche.

E non è così.

Nel corso della mia vita ho avuto più delusioni dalle attrazioni che dalle sensazioni.

Perché non conta quello che ci interessa in una persona, ma quello che ci trasmette.

L’ho capito quando ti ho guardata per davvero e ho visto che l’amore hai tuoi occhi.

Se vuoi, solo se vuoi, stasera ti aspetto al bar L’incontro verso le 19.00.

Vieni tu e tuoi occhi.

Stringo forte il bigliettino e lo metto in tasca.  Bevo con calma il caffè, ripensando alla frase che è la chiave di tutti i miei problemi e uno sconosciuto me l’ha offerta.

 “Perché non conta quello che ci interessa in una persona, ma quello che ci trasmette”.

Diamo così poco spazio alle emozioni, dando importanza agli interessi comuni. Ci perdiamo in tante scuse per evitare rapporti intensi, e ci lamentiamo di vivere una storia piatta.

L’ho capito quando ti ho guardata per davvero e ho visto che l’amore hai tuoi occhi.

Quando ciò che davvero conta per avvicinare un cuore a un altro è guardarsi per davvero. Scoprire quello che c’è dietro alle nostre risposte, interpretare i nostri silenzi, colorale le nostre paure, che spesso son paure proprio perché non hanno i colori giusti.

Vieni tu e tuoi occhi.

E quello che conta, quello che dovremmo davvero temere sono gli occhi. Uno sguardo ci rendere più di qualunque scollatura. Più di qualunque accorgimento estetico. Uno sguardo è la chiave per aprire l’anima di qualcuno e amarlo senza difese. Perché in amore non bisogna difendersi, bisogna arrendersi alla bellezza di un sentimento e andare sulla luna delle emozioni.  E non importa se tutte queste scosse provengono da uno sconosciuto, perché l’amore è l’unico elemento che il tempo non gestisce. E io, con tutto quello che sarà e non sarà, voglia aprire le braccia a chiunque mi abbia pensata in questo modo.  Non sono più Ludovica che dopo il turno va al cinema da sola. Ho la speranza di poter litigare su un titolo e baciare sui titoli di coda.

Non ho avuto paure nel preparami. Ho fatto una doccia al volo e mi sono vestita di fretta, con l’impazienza di chi non vuole perdersi neppure un attimo. Sto fantasticando sulla scena d’entrata, quando finalmente lui avrà un volo. Parcheggio e faccio un lungo respiro. Mastico una mentina e vado. Entro nel bar e guarda tavolo per tavolo, per cercare qualcuno dal volto familiare. Nessuno. Forse non è un conoscente? Continuo a camminare e scopro che c’è una saletta più intima. Mi volto a sinistra e sorrido. Sapevo che quelle parole avessero il suo volto. Da quando mi stretta e impedito di cadere che l’ho riconosciuto.

«Per un attimo ho avuto paura che mi ero sbagliata. Che non eri tu, ma un altro».

«Speravi che fossi io?», mi domanda speranzoso e contento.

«Sì… da quando ci siamo scontrati che ho sperato. Avevo riconosciuto nelle tue braccia le tue parole: forti e dolci allo stesso tempo».

«Non è che mi ha pensato solo perché eviterò di farti male per il resto dei tuoi giorni?», chiede con tono divertito e io scoppio a vivere in quella atmosfera deliziosa e serena. Se qualcuno mi avesse parlato di questo giorno, io non ci avrei creduto e invece sono qui. A ridere e ordinare qualcosa da bere con lui. Mi sento così leggera, mi viene naturale far battute e ridere senza preoccuparmi dei miei denti leggermente sporgenti.  Mi sento emozionata. Mi piace come mi osserva mentre parlo. E poi, improvvisamente, interrompe la conversazione e mi bacia. Dice che ho tanti baci da dare e lui non si scoccerà mai di ascoltarli. Dice che sono il sapore che cercava. Quello di una mela rossa e succosa. Lo ricambio e nulla esiste. Solo noi.

© –lemienottibianche

Tutti i diritti sono riservati.

Ph: Fonte da Pinterest

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Pubblicato da Maria Capasso

Autrice e blogger.

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