
Era stanca, Micol.
Stanca di tutto quello che le circondava.
Stanca dell’ennesima storia finita male e di un nuovo monolocale da riempire.
Stanca di abituarsi a nuovi fornelli, imprecando contro quelli a induzione.
Ormai il fuoco sembrava fuori moda.
“Tutto dipende da un click” – pensò, mentre cercava le cialde per prepararsi un caffè. Gli scatoloni occupavano tutto lo spazio dedicato alla cucina in piene stile nordico completa di tutti gli accessori. Noto per primi la lavastoviglie e il microonde. Il secondo era un grande alleato, ma la prima?
A che le serviva una lavastoviglie se non riceveva mai nessuno? Le uniche cose che sporcava erano le tazze e le posate, ma bastava un po’ di detersivo e acqua corrente per pulirle. . Notò anche due mobili affianco enormi, e li aprì: nel primo c’era una lavatrice e nell’altro un’asciugatrice. “Utili più della lavastoviglie”, mormorò. Il frigo era piccolo ma giusto per lei e le sue serate solitarie. Bevve il caffè senza zucchero e scese giù gli scatoloni da buttare.
Risalì e iniziò a pulire quel che bastava per renderlo abitabile. A fine giornata, si bevve una tennen’s e se la gustò, osservando il suo nuovo spazio, la sua nuova dimora in una città straniera: Helsinki. Una promozione sudata e addentata con la forza: responsabile della filiale finlandese della sua società, che si occupava di pubblicità.
Doveva restare lì per soli due anni.
Non era la sua passione, ma le andava bene: l’arte non era più cosa sua.
A tempi andati, quando frequentava l’accademia di belle arti – e ancor prima – il liceo artistico, si sentiva piena di forza ed era sicura che con i suoi colori avrebbe colorato la sua vita e quella degli altri. Ma non è stato così dopo il rifiuto e l’allontanamento dei suoi genitori per i suoi gusti sessuali, tutto è cambiato.
A molti non pesava e non influenzava i rapporti di qualsiasi natura con gli altri, ma per Amanda sì.
Per lei crollò la certezza sull’amore.
Si ritrovò da sola per le strade di Roma. Si sedette su una panchina e stracciò l’assegno dei suoi genitori senza guardare la somma, e si accese una sigaretta. Erano le due di notte e la città era ancora caotica. Una signora di mezza età si avvicinò a lei e la osservò.
«Raccontami la tua sventura, bambina. Gli occhi parlano anche se restiamo in silenzio. Tu inizia a raccontare, ti ascolto» le disse con tono carezzevole e occhi birichini. Profumava di zucchero filato e tabacco fresco, con dei capelli raccolti da un curioso fermaglio a forma di farfalla.
Amanda scoppio a piangere sulla spalla di quella sconosciuta. Le raccontò tutto, e la donna le diede un fazzoletto di cotone che profumava di fiori.
«Ero alla finestra, mi stava rollando una sigaretta e ho visto ciò che accadeva alla finestra di fronte, che a sua volta aveva le porte del balcone aperte e le voci erano troppo forti, soprattutto la tua che ripeteva: “Sono un errore, un processo evolutivo a metà, vero? Solo perché non e posso più di mentire e di nascondermi? Dov’è l’amore che avete per me? E tu, mamma, mi hai tento nove mesi dentro di te e mi hai partorito con dolore e gioia, mi stai cacciando di casa solo perché non avrò mai una vita come la tua? Posso provare a capire lui che ha solo inseminato, ma tu mamma che sei stata la terra dove le mie radici si sono formate, non ci riesco, sai?”. Ho pianto per questa frase come da anni non mi capitava e ho provato schifo per la freddezza della tua famiglia così perfetta in superficie e così marcia dentro. Così sono scesa di casa e ho aspettato che scendessi anche tu,. Questo fazzoletto me lo regalò mia madre: insieme alla lacrime, asciuga anche il dolore.».
«Perché?» le chiese Amanda asciugandosi le lacrime col tessuto soffice della stoffa.
«Perché bisogna portare un sorriso dove qualcuno provoca lacrime di dolore».
Da quella sera sono trascorsi quattro anni e la signora Antonia diventò tutta la sua famiglia. Le offrì una camera in cambio di aiuto in casa, aiutandola nel riequilibrarsi e nel trovare un lavoro.
Poi, avvenne la svolta: si trasferì lontano da quel quartiere borghese che non le apparteneva. Antonia era un’insegnate di pianoforte ed era l’unico legame vero nella vita di Micol, e le mancava in quella città fredda ma così simile a lei.
I suoi genitori? Erano spariti nel nulla. Come se lei non fosse mai nata. Non importava, anche se faceva male, cercava di essere dura e andare avanti. Osservò le pareti da riempire con stampe del suo artista preferito: Hooper. Amava il suo stile e il suo ritrarre la tipica vita dei cittadini americani nella loro abitudini e solitudini. Lei stessa si sentiva dipinta da lui con i suoi capelli biondi e spettinati.
I capelli li tagliò il giorno dopo del litigio coi suoi e si sentì per la prima volta se stessa. SI sentiva finalmente libera di poter indossare tutto quello che sentiva parte del suo corpo. Era bellissima perché finalmente era ciò che voleva essere e non più un personaggio costruito.
Ma tutta quella libertà le costò cara: non riusciva a legarsi a nessuno. Aveva paura di innamorarsi per essere sbattuta fuori all’improvviso. Aveva paura dei ricordi che l’avrebbero tormentata. Aveva paura e le bastava l’affetto di Antonia e qualche avventura occasionale. Forse solo chi le avrebbe restituito la voglia di dipingere o ritrarre, poteva aprire quella gabbia in cui Micol aveva rinchiuso il suo lato tenero e sensibile nei confronti dell’amore.
© –lemienottibianche
Tutti i diritti sono riservati.
Ph: Fonte da Pinterest
#affetti #amore #emozioni #nudità #ricordi #sentimenti amcizia amicizia amore analisi arteculinaria autunno bookblogger books cinema clown colori cucina dolci emotività emozioni esperienze esperienzepersonali famiglia incubi intervista legami leggere lettere libri maternità novità passato paure pensieri petali primavera rabbia raccontarsi ricordi riflessioni scrittura scrivere sentimenti storiedidonne